Negli anni il numero delle donne presente negli ambienti di lavoro è aumentato; il tasso di occupazione sale al 49,2% (Istat febbraio 2018).
Questo fenomeno ha portato ad un incremento delle ricerche in campo epidemiologico che hanno permesso di riconoscere e studiare quei fattori di rischio presenti in diverse attività lavorative e che potrebbero avere effetti negativi sulla salute delle lavoratrici e/o dei loro bambini.
Il datore di lavoro deve in collaborazione con il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) consultato il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS), identificare le mansioni/lavorazioni vietate per la gravidanza e/o l’allattamento. Inoltre, deve integrare il Documento di valutazione dei rischi (DVR) con l’analisi e l’identificazione delle operazioni incompatibili, indicando per ognuna di tali mansioni a rischio le misure di prevenzione e protezione che intende adottare nel caso di gravidanza: modifica delle condizioni di lavoro e/o dell’orario di lavoro; spostamento delle lavoratrici ad altra mansione non a rischio; e ove non possibile, deve fare richiesta agli Enti competenti di interdizione anticipata dal lavoro.
Informare tutte le lavoratrici in età fertile dei risultati della valutazione dei rischi e della necessità di segnalare lo stato di gravidanza non appena venga a conoscenza. Non ultimo in ordine di importanza è la ricerca e lo sforzo maggiore nell’ambito della formazione/informazione che trasmette alle lavoratrici una reale percezione del problema dei rischi lavorativi, che nella maggior parte dei casi risultano sovra o sottostimati: ‘la comunicazione del rischio è parte integrante della gestione del rischio stesso’.
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